Quando parliamo di farm to fork, non possiamo escludere dal dibattito il settore sementiero. Oggi che la sovranità alimentare è diventata quasi un mantra a cui appellarsi, tanto da aver dato una nuova denominazione al Mistero delle politiche agricole. Ma soprattutto per dare risposta a una consapevolezza crescente nel consumatore, che chiede sempre più cibo di qualità, tracciato e sicuro.
La ricerca e la diffusione di nuove varietà sono elementi fondamentali del miglioramento colturale e qualitativo di tutte le produzioni agricole.
Il ruolo di ricerca e innovazione sono fondamentali per la qualità e la produttività delle sementi. Non può esserci, quindi, qualità del prodotto finale senza che, alla base della filiera, ci sia un seme di qualità, certificato e tracciato.
Gli enormi investimenti che vengono effettuati nella ricerca di nuove e più performanti varietà produttive hanno consentito a tutto il settore un forte miglioramento quanti-qualitativo in tutti i settori produttivi vegetali.
La produzione e la commercializzazione delle sementi sono attività disciplinate dalla normativa nazionale e comunitaria, attraverso l’istituzione dei Registri varietali obbligatori e la certificazione delle sementi immesse in commercio.
L’uso di un seme fornito e garantito dall’azienda sementiera produttrice, è quindi il primo passo per un buon investimento colturale e verso la rintracciabilità della produzione ottenuta.
Tuttavia, il fenomeno della riproduzione illegale delle varietà sta assumendo proporzioni molto preoccupanti, tali da recare danno non solo alle aziende sementiere e vivaistiche, ma a tutta la filiera produttiva perché sui semi riprodotti illegalmente è impossibile controllare la tracciabilità della produzione e perché il risultato delle produzioni derivate da seme illegale, quindi non controllato e garantito può essere diverso da quello atteso, sia sul piano quantitativo, che qualitativo;
peraltro non dimentichiamo che sui semi e le piantine che derivano da semi tracciati vengono svolti i controlli dei servizi fitosanitari territoriali che ci consentono di garantire in primis i produttori agricoli e poi i consumatori.
Ci sono però ancora molte zone d’ombra:
Oggi non è possibile garantire la provenienza del 30% della soia seminata, utilizzata sia per il consumo alimentare sia nella dieta degli animali. L’Italia è il primo produttore di soia a livello UE, ma se un terzo del prodotto non è tracciato e si mischia con quello regolarmente certificato a risentirne sono le eccellenze agroalimentari delle quali il nostro Paese ha saputo fare un marchio di qualità e distinzione nel mondo.
In un altro esempio di produzione, simbolo dell’Italia, come il grano duro: l’impiego nei campi di seme certificato si ferma al 50% delle superfici coltivate»
Abbiamo in verità normative molto precise. Da 50 anni abbiamo un sistema strutturato per garantire il consumatore, con una legislazione molto avanzata. La certificazione, effettuata da organismo pubblico indipendente, garantisce produzioni di qualità e all’insegna della sostenibilità ambientale.
Ma se siamo tutti d’accordo che le sementi certificate sono importanti per una produzione in linea con le aspettative dei consumatori, che senso ha oggi, ancor più in una situazione complicata come quella attuale, seminare varietà con germinabilità scarsa, con poca resistenza alle malattie e con bassa produttività?
Rafforziamo l’impegno per accrescere le iniziative volte all’informazione e orientamento del mondo produttivo.
Questo anche per evitare conseguenze penali come quelle occorse ad un imprenditore di Vittoria che nel 2019 è stato condannato a un anno di carcere, a 15 mila euro di multa e al risarcimento di 70 mila euro alle parti civili. Si è trattato della prima sentenza penale in Italia sulle nuove varietà vegetali protette. La ditta avrebbe riprodotto abusivamente piante di pomodoro coperte da brevetto, trovate in quattro serre.
Le aziende produttrici di semi di ortaggi investono percentuali altissime delle vendite nette ogni anno in ricerca e sviluppo per produrre varietà migliorate.
E’ importante per la sostenibilità del settore ortofrutticolo che tali aziende ricevano compensi per il loro lavoro.
Si segnala, poi, un sistema di controlli ancora insufficiente. Controlli (ed eventuali sanzioni) sono fondamentali perché pongono tutti i coltivatori nelle medesime condizioni, prevenendo la concorrenza sleale e dando un senso agli sforzi dei produttori che si stanno impegnando in questo senso.
C’è poi bisogno di attivare protocolli di rete che rispondano alla richiesta di trasparenza del consumatore e, in questo senso, l’iniziativa politica gioca un ruolo determinante di indirizzo e coordinamento.
Oggi le esperienze più rilevanti di filiera controllata dal seme al piatto sono quelle in cui l’utilizzo di sementi certificate viene imposto dalle condizioni di filiera dell’industria di trasformazione, come nel caso di Barilla. Di fatto, attualmente, i comportamenti virtuosi vengono quindi premiati solo attraverso contratti di filiera.
Credo sia il momento di promuovere politiche di filiera che vadano al di là delle singole iniziative del privato. Questa è la direzione da prendere se vogliamo davvero parlare di Farm to Fork e dare garanzie al consumatore che, sempre più, premierà chi ha fatto questo tipo di scelta e lascerà indietro chi non ha saputo adeguarsi alla consapevolezza di oggi.
Infatti, se una filiera, in senso lato, non crede e non investe nel mezzo tecnico che rappresenta un elemento fondamentale del processo produttivo, vale a dire le sementi certificate, questa è una filiera che non innova e che quindi è destinata ad avviarsi verso un futuro non competitivo.